Sette giorni a Città del Messico: caos, meraviglia e il cuore rivoluzionario di un popolo

Città del Messico è una di quelle città che ti restano addosso. Non per la bellezza da cartolina o per l’efficienza urbana – che non troverai – ma perché ti costringe a vivere. È immensa, rumorosa, affollata, stratificata fino all’eccesso. In sette giorni, onestamente fore non siamo riusciti neanche a capirla. Ma ci ha attraversato. E ci ha lasciato qualcosa che difficilmente dimenticheremo.

Abbiamo soggiornato nel quartiere di Reforma, una delle zone più moderne e ordinate, con grandi viali, locali e caffè. Una specie di bolla in mezzo al caos, da cui ogni giorno ci siamo lanciati alla scoperta della città: a piedi, in metro, in taxi, in mongolfiera, in battello. Ogni spostamento era un’avventura. Ogni angolo un mondo.

Una città che ti sfida, e per questo ti conquista

Ci sono città che ti accolgono e città che ti mettono alla prova. Città del Messico è della seconda categoria. Le sue dimensioni sono quasi disumane, e la distanza tra quartieri, classi sociali, stili di vita è vertiginosa. Eppure, più ti perdi in questo caos, più ti accorgi che la sua forza non sta nell’ordine, ma nell’anima.

Quello che ci ha colpito più di ogni monumento è stato il piglio, la dignità e l’ingegno dei messicani. Gente che ha poco, ma fa tanto. Che si inventa ogni giorno. Abbiamo visto venditori ambulanti che con due assi di legno e un fuoco a butano mettevano in piedi delle vere cucine mobili. Abbiamo bevuto michelada su un terrazzo semi-abusivo trasformato in bar con quattro luci, due sedie e tanta voglia di creare bellezza con ciò che si ha. Abbiamo incontrato un signore che aggiustava telefoni su un pianerottolo, con una lente di ingrandimento e uno sgabello, con una pazienza e una precisione da artista.

Questa non è solo sopravvivenza: è creatività, è resistenza. È quella forza che viene da una storia complicata, ma anche rivoluzionaria. Un popolo che si è rialzato più volte. Un popolo che sa trasformare la mancanza in risorsa, e la fatica in orgoglio.

I musei: la Frida viva e l’antico che respira

A Coyoacán, visitare la Casa Azul – oggi Museo Frida Kahlo – non è come entrare in un museo tradizionale. È più simile a varcare la soglia di un luogo ancora abitato, come se Frida fosse appena uscita a fare una passeggiata nel quartiere. C’è qualcosa di profondamente intimo e toccante nel camminare tra le stanze dove ha vissuto, amato, sofferto, dipinto. Ogni oggetto, ogni mobile, ogni colore parla di lei.

Il cortile interno, pieno di piante, cactus e piccole sculture precolombiane, è un angolo di quiete e bellezza che ti abbraccia, e ti fa sentire come se Frida potesse davvero tornare in ogni momento a sedersi davanti alla fontana. La casa è colma dei suoi abiti tradizionali, delle sue protesi decorate a mano, dei suoi pennelli, lettere, specchi, fotografie: un racconto visivo e corporeo del suo mondo.

Ci ha colpito il contrasto tra la potenza delle sue opere e la delicatezza della sua quotidianità. Frida è ovunque: nei colori sgargianti delle pareti, nei dettagli dei suoi vestiti, nelle sue parole lasciate sui muri. È un luogo che commuove, perché non racconta solo l’artista, ma la donna, la forza con cui ha affrontato il dolore e trasformato la vita in arte.

Uscire dalla Casa Azul lascia una sensazione forte, come se si fosse fatto visita a un’amica che ha ancora molto da dire. Non solo un museo, ma un’esperienza emotiva, che ti resta addosso come un colore che non va via.

Al Museo Nazionale di Antropologia, ci aspettavamo un viaggio nel passato. In parte lo è stato: chilometri di sale raccontano le civiltà precolombiane – aztechi, maya, toltechi, mixtechi – attraverso sculture, maschere, codici, ceramiche. Ma quello che ci ha colpito davvero è stato il modo in cui il museo dà voce non solo alla storia, ma alla cultura viva.

Non è un museo che si limita a glorificare il passato: è un luogo che racconta un popolo, le sue usanze, le sue credenze, la sua quotidianità, ieri come oggi. C’è un’attenzione profonda agli abiti tradizionali, ai riti, alla musica, ai mestieri, ai modi di vivere nelle comunità. C’è il tentativo, raro e prezioso, di far capire che la cultura non è un fossile, ma qualcosa che cambia, resiste e si rinnova.

Abbiamo avuto la sensazione di attraversare non solo i secoli, ma le anime delle persone che hanno abitato e abitano questo paese. E alla fine della visita, quello che ti resta non è solo l’ammirazione per quello che hanno costruito, ma il rispetto per una civiltà che continua a parlare con forza, anche attraverso le sue minoranze.

Teotihuacán e il silenzio dall’alto

Ma forse la sensazione più intensa l’abbiamo provata all’alba, a Teotihuacán, salendo in mongolfiera. Volare sopra le piramidi mentre il sole sorge lentamente sulla pianura messicana è un’esperienza mistica. Sotto di noi, le Piramidi del Sole e della Luna, i templi, le strade. Silenzio. Respiro. Un senso di minuscola meraviglia. Dopo il volo, ci siamo immersi tra le rovine: pietre che parlano di città sofisticate, astronomia, architettura, riti, imperi. È stato un promemoria potente: questo continente aveva una storia immensa prima dell’arrivo degli europei, e il Messico lo sa. E lo ricorda.

Xochimilco: una conversazione sull’acqua

A Xochimilco, tra i canali dove un tempo navigavano gli aztechi, abbiamo deciso di evitare i percorsi turistici più battuti. Così abbiamo chiesto al barcaiolo, il “capitán” della nostra trajinera, di portarci dove non c’erano troppi altoparlanti o feste organizzate. Volevamo vedere la parte vera.

E lui ci ha portato tra le chinampas, le isole galleggianti coltivate, e ci ha raccontato la sua storia. Di come ha cresciuto i suoi figli facendoli studiare con fatica e orgoglio. Di quanto costano le case nella zona, di come cambia il quartiere, di cosa vuol dire vivere in un luogo così vivo ma anche difficile. Abbiamo parlato come si parla tra persone che, per qualche ora, condividono lo stesso viaggio sull’acqua. E ci siamo sentiti piccoli, ma profondamente grati.

La Basilica e la fede popolare

Nel centro storico, tra il Zócalo e il Palacio de Bellas Artes, tra i murales di Rivera e le strade affollate, abbiamo poi visitato un luogo carico di significato: la Basilica di Nuestra Señora de Guadalupe. È un santuario, ma è anche un punto di incontro tra il sacro e il popolare. Gente che arriva a piedi da lontano, famiglie intere, venditori di crocifissi accanto a chi canta canzoni mariane. Lì abbiamo sentito la fede non come rito, ma come identità collettiva, come forza che ha tenuto insieme un popolo nelle sue prove più dure.

I messicani: il vero valore della città

E alla fine, quello che davvero ci ha fatto innamorare di Città del Messico sono state le persone.

Una sera, per strada, ci siamo fermati a mangiare dei tacos da una nonnina. Aveva mani segnate, uno sguardo dolce e fermo, e un’abilità incredibile nel preparare tortillas e salse. Abbiamo chiacchierato, ci ha chiesto da dove venivamo, e poi, quando ha scoperto che stiamo per sposarci, ci ha guardati e ci ha detto:

“Non fatevi mai dividere da un litigio. Nemmeno da una divergenza. L’amore è stare. Anche quando è difficile.”

E poi ci ha offerto un'altra porzione, come fosse un rito di benedizione.

In quel momento abbiamo capito che Città del Messico è fatta più di incontri che di attrazioni. Che il suo vero tesoro non è nei monumenti, ma nella forza quotidiana di chi la abita. È una città che ha fatto una rivoluzione. Che ne ha fatte tante. Ma che ogni giorno, in piccolo, ne continua a fare altre: nel modo in cui resiste, sogna, lavora, cucina, crea.

Consigli pratici per chi vuole partire

Alloggia a Reforma o Condesa/Roma: zone sicure, ben collegate, piene di locali e ristoranti.

  • Usa Uber, ma non farti scappare l’occasione di prendere i mezzi pubblici (compresi gli autobus sui quali Claudio ha quasi lasciato la schiena): possono essere affollati e poco sicuri in alcune ore ma ti permettono di immergerti nello spirito della città.

  • Portati i contanti, non tutti accettano carte, soprattutto nei mercati.

  • Prova a parlare spagnolo, impara qualche parola: non solo è utile, ma dimostra rispetto.

  • Non aver paura di perderti, a volte le cose più belle sono proprio dietro l’angolo.

Cosa ci portiamo via

Sette giorni non bastano. Non bastano nemmeno per comprendere da dove iniziare. Ma bastano per sentirsi parte, anche solo per un attimo, di una storia più grande. Di una città che ti scuote e ti insegna.
Non torni a casa con solo delle foto: torni con le parole della nonnina, con gli occhi del barcaiolo, con l’odore di tortillas, con il battito profondo di un popolo che non si arrende.
E forse, alla fine, questo è il vero viaggio.

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